sabato 24 febbraio 2018

Sempre più club vietano lo smartphone: proibizionismo o la soluzione che stavamo aspettando?


Abbiamo già parlato abbondantemente di quanto la tecnologia stia rivoluzionando club e concerti: risale al marzo 2014 la nostra presa di coscienza del tipo: “Ok, ci siamo cascati tutti, ora piantiamola però. Gli smartphone che portiamo in tasca stanno avvelenando l’esperienza”. La situazione sembrava già fuori controllo allora e oggi, quasi quattro anni dopo, le cose non sono cambiate di molto: gli avventori dei club continuano a sventolare schermi luminosi e inondare i social media di selfie. Nel frattempo sono stati fatti studi ed esperimenti, molti artisti si sono schierati apertamente contro la pratica e anche gli stessi creatori delle varie piattaforme stanno iniziando a consigliarci la disintossicazione. Ci è sembrato un buon momento per rifare il punto della situazione.
Ad esempio, la lotta all’abuso di device mobili è diventata oggi un’opportunità di business: la start up Yondr ha iniziato a produrre sacchetti fatti apposta per rinchiuderci lo smartphone e tenerlo rinchiuso per tutta la durata del concerto, salvo appartarsi in una zona “phone-free”. Gli investitori risero dietro a Graham Dugoni, fondatore della società, quando era in cerca di fondi. Oggi Yondr sta vivendo un momento di grande crescita e il suo sistema viene utilizzato da personalità del calibro di Jack White, oltre che in tribunali e scuole. Gli artisti che l’hanno usato per le loro esibizioni ne sono entusiasti, parlano del ritorno dei “vecchi tempi” quando la gente si divertiva ”davvero”.
Altra soluzione creativa è quella adottata dal Berghain di Berlino, seguito poi via via anche dagli altri club della capitale tedesca: consiste nel far applicare un bollino colorato agli avventori del locale sul proprio telefono, inibendone la fotocamera. Come praticamente ogni cosa nel 2018, questo ha generato meme e tumblr ironici. Altro risultato curioso di questo esperimento è la collaborazione degli avventori che hanno iniziato loro stessi a fare le veci della sicurezza e a riprendere i trasgressori: si tratta sempre di Germania eh, ma è curioso come l’esplicitazione di una regola abbia in qualche modo legittimato i clienti a riprendere chi non la rispetta.
Questi divieti pare siano stati preso bene un po’ da tutti, soprattutto dagli amanti del clubbing, felici di essere stati in qualche modo costretti ad abbandonare la propria dipendenza e tornare a ballare, anzi che passare la serata a far sapere a tutti che loro c’erano.
Ma c’è un ma: i telefoni cellulari hanno completamente rivoluzionato la struttura di potere, trasformando la società in un luogo dove ognuno di noi è in grado di registrare e diffondere autonomamente un evento, che si tratti di un concerto o di un pestaggio da parte della polizia. Proprio per questo motivo Adam Schwartz, membro della Electronic Frontier Foundation, associazione non-profit dedita a difendere i diritti civili nel mondo digitale, ha espresso la sua preoccupazione. Secondo Schwartz le persone concedono più di quello che sembra sigillando anche solo temporaneamente il telefono in un sacchetto e questa pratica, applicata all’ingresso di locali pubblici, potrebbe funzionare come silenziatore di massa rendere più difficile denunciare abusi e soprusi.
Oltre alla paura effettivamente fondata che si entri in una nuova era di oscurantismo e proibizionismo, c’è anche da considerare cosa significhi veramente “godersi” un evento. La prof. Alixandra Barasch è una delle personalità più attive nella ricerca in questo campo e i suoi studi hanno portato alla luce risultati interessanti, come il fatto che il processo mentale legato allo scatto di una fotografia funga da amplificatore dell’esperienza, che sia essa positiva o negativa, e che ci aiuti a ricordare meglio i dettagli visuali. Allo stesso tempo Barasch ha sottolineato come l’effetto amplificatore sia molto ridotto quando l’esperienza è già coinvolgente di per sè e che scattare una fotografia ci costringe a concentrarci solo sulla parte visuale, di fatto diminuendo la capacità di ricordarne altri aspetti, come quello uditivo. Infine, uno dei suoi ultimi studi mostra come, effettuando uno scatto con l’intento di condividerlo sui social media anziché preservare una memoria, si generino processi mentali in grado di ridurre sensibilmente il coinvolgimento con l’esperienza stessa.
Gli studi di Barasch sono solo il primo passo verso una discussione più sensata sugli effetti che questi dispositivi hanno sulle nostre vite. Se è vero che scattare foto sia una libertà innegabile, è altrettanto vero che una società come tale deve considerare i diritti collettivi rispetto a quelli del singolo.
Viviamo in un mondo dove il tempo è diventato uno dei beni più ambiti, diversi media competono per accaparrarsi qualche secondo della nostra attenzione (e sono molto bravi nel farlo). Oggi più che mai, la concentrazione è diventata estremamente ambiziosa quanto difficile da ottenere: il continuo formicolare di notifiche e schermi luminosi intorno a noi è un vero e proprio “inquinamento dell’attenzione”.
Per questo ci arrabbiamo quando durante un film qualcuno controlla le notifiche abbagliandoci con lo schermo o quando in treno il tizio seduto di fianco continua a ricevere notifiche con la suoneria sparata al massimo: ci distrae e ci impedisce di concentrarci. L’esperienza in un concerto o in un club non è diversa: vederci sventolare degli schermi luminosi sotto il naso mentre stiamo cercando di entrare in sintonia con la musica ci costringe a focalizzarci sui pixel luminosi anziché sulla performance dell’artista, in poche parole lede la nostra libertà.
Non sono lontani i tempi in cui l’utilizzo dello smartphone non sarà regolato solo da educazione e buon senso, ma da vere e proprie leggi, come successe per le sigarette cinquant’anni fa. In quel caso sappiamo tutti come sia andata a finire, chissà che tra qualche anno non saremo costretti a tenere immagini scioccanti di “social media dipendenti” come sfondo del nostro iPhone. Il divieto di fumo fu un grande incentivo per molti ad abbandonare il tabacco e fu imposto per un beneficio collettivo, quello di tentare di ridurre i casi di cancro ai polmoni e il loro impatto sulla spesa pubblica. Se la correlazione tra abuso di dispositivi digitali e patologie psichiatriche dovesse essere dimostrata e largamente accettata, lo “smartphone ban” ne sarebbe una conseguenza naturale. Sarà curioso vedere come questo inciderà sul numero di biglietti venduti, della serie: le persone accetteranno il divieto o preferiranno andare da altre parti dove sarà loro concesso di controllare le notifiche?
Non sappiamo bene se questo sentimento anti tecnologico sia solo il lamento di una generazione nostalgica dei party anni ‘90 e primi duemila o una vera e propria piaga sociale da combattere. Mentre la comunità scientifica dibatte sulla questione, noi ci allineiamo con DVS1 nel vedere la figura del DJ come un artista, non solo un “intrattenitore”. Portiamo il nostro buon vecchio bollino da casa, lo appiccichiamo sulla fotocamera ed entriamo con timore e rispetto in quel vortice di emozioni e sensazioni che solo il set di un mostro sacro riesce a regalarci. Ci sarà un motivo se nei club esista ancora una persona dietro i piatti, quando Spotify potrebbe sostituirne la selezione senza problemi: da migliaia di anni gli umani ballano in gruppo con altri umani, dalle tribù fino ai club del nuovo millennio, non lasciamo che la tecnologia ci porti via una delle parti migliori della nostra vita terrena.

martedì 13 febbraio 2018

I Metallica si piegano ma non si spezzano

Mentre va in scena la finale di Sanremo, i Metallica incasellano la prima data italiana del loro tour, tra un omaggio a Morricone e una cover di Vasco. Hetfield e soci vanno avanti di mestiere, ma sul palco sono ancora delle macchine da guerra.

 Dopo aver attraversato tre decadi tra successi epici e qualche battaglia contro i mulini a vento, i quattro cavalieri del metal non sembrano affatto domi. A dimostrarlo ci sono: un esercito di fan devoti, delle nuovi canzoni che sembrano animate dalla grinta di un tempo e un tour europeo sold out praticamente ovunque (le prossime date nel Belpaese sono entrambe a Bologna, il 12 e il 14 febbraio).
Nel warm up del concerto, uno striscione sugli spalti detta la prima suggestione delle serata. Oggi è il 10 febbraio: il ritorno dei Metallica a Torino coincide casualmente col giorno del compleanno del compianto Cliff Burton; e arriva proprio nell’anno in cui i fan della prima ora della band (ma non solo) hanno ufficialmente lanciato una petizione online per istituire il “Cliff Burton Day”, in memoria della storico primo bassista della formazione losangelina, morto in un tragico incidente stradale, secondo i più nel corso dell’apogeo creativo dei Metallica.
La ricorrenza diventa un modo, volendo romantico, per salutare il nuovo corso che i Metallica sembrano voler inaugurare, dopo ben 8 anni di assenza, con il loro ultimo disco Hardwired… To Self-Destruct. Un lavoro che sembra voler unire i puntini della carriera dei quattro metalhead — dalle schegge thrash degli esordi alle suite heavy della consacrazione; così come il monumentale concerto sabaudo ha coniugato passato e presente provando a mettere d’accordo tutti, dal fan duro e puro del “suonare veloce” all’ascoltatore-medio di inni rock radiofonici.

Ciò che risulta evidente dopo aver assistito ad uno show antologico e curato nei minimi dettagli è che i Metallica di oggi puntino più di ogni altra cosa alla dimensione live: vogliono portare la gente nel loro habitat naturale, ovvero nella bolgia dei palazzetti. Al netto dei passi falsi in carriera o d’un più o meno fisiologico calo di ispirazione, infatti, la truppa d’assalto guidata da capitan Hetfield si conferma una inarrestabile macchina da concerto.
La cavalcata dei Four Horsemen nella motorcity si apre rievocando le atmosfere del western all’italiana sulle note di Ennio Morricone e, in circa due ore, una scaletta sorniona quanto basta alterna i pezzi di Hardwired… To Self-Destruct (la doppietta iniziale, giusto per scaldarsi) ai cavalli di battaglia della band (il trittico immediatamente successivo – formato da Seek & Destroy, Leper Messiah e Welcome Home – che inizia a far salire il termometro dell’arena).
“The Metallica’s Family is here” ruggisce in un moto d’orgoglio quel vecchio leone di James Hetfiled, sottolineando poi come il culto heavy metal comprenda e unisca ormai più generazioni: “È fantastico vedere ad uno show dei Metallica anche bambini e bambine!”.
Oltre a sorprendere, però, lascia anche un tantino sbigottiti la cover piazzata a metà set: nientemeno che una versione sotto steroidi di C’è chi dice no di Vasco Rossi, cantata per di più da un improbabile Robert Trujillo. Preferiamo decisamente la cover di Am I Evil? dei Diamond Head ma prendiamo questo omaggio al Blasco come un divertissement… anche se c’è da scommettere andrà sicuramente a polarizzare le opinioni all’interno della già variegata fanbase dei Metallica!
Tra gli assoli di un Hammett mai sopra le righe e le ormai proverbiali imprecisioni di Lars Ulrich alla batteria, i quattro “old men” (come scherzerà lo stesso Hetfield) giocano sul velluto con capolavori come Sad but True, One e Master of Puppets, per poi piazzare il colpo del K.O. con la combo Nothing Else Matters ed Enter Sandman.
Avvolti in una scenografia è a dir poco spettacolare – con il palco piazzato come di consueto al centro del palazzetto e sormontato da cubi semoventi sui quali venivano proiettate foto d’archivio della band, visual o semplici giochi di luce – i Metallica ci mettono il cuore, ma anche tutti i trucchi del mestiere.
Diciamo che James, Lars, Kirk e Bob danno l’impressione di essere degli ultra-quarantenni che si divertono a “fare i Metallica”, ma portano a termine in maniera granitica e pressoché impeccabile uno show un po’ didascalico ma in parte anche coraggioso, con la giusta dose di nostalgia e soprattutto con il piglio dei fuoriclasse assoluti.
Per essere dei “rocker bolliti”, come li etichettano gli haters, la pensione sembra ancora lontana. Perché Sanremo è sempre Sanremo, ma i Metallica sono ancora i Metallica.

lunedì 12 febbraio 2018

Arezzo Wave Music Contest 2018: il primo e più longevo festival della musica dal vivo in Italia annuncia il concorso per band emergenti

Dal 1987 a oggi sono oltre 48.000 le formazioni musicali che hanno partecipato al concorso, di queste, quasi 8.000 band hanno potuto esibirsi dal vivo registrando un’affluenza di pubblico di oltre 500.000 spettatori in 30 anni di attività!
Unico nel suo genere, pilastro della storia della musica italiana, Arezzo Wave annuncia la nuova edizione del contest dedicato alle band emergenti, senza limiti di genere, età o provenienza geografica, perchè la Musica non ha frontiere. Tra i Partner di questa edizione in Piemonte e Liguria anche il nostro gruppo editoriale, da sempre vicino alla musica. 
Dal 1987 a oggi sono oltre 48.000 le formazioni musicali che hanno partecipato al concorso, di queste, quasi 8.000 band hanno potuto esibirsi dal vivo registrando un’affluenza di pubblico di oltre 500.000 spettatori in 30 anni di attività! Tra le band che hanno calcato il palco di Arezzo Wave ricordiamo: Negrita, Afterhours, MauMau, Quintorigo, Almamegretta, Joycut, Sonars, Ritmo Tribale, Marlene Kuntz, Amari, I Ministri, Pan del Diavolo, Waines, Fast Animals&Slow Kids, solo per citarne alcuni. 
Arezzo Wave Music Contest, il concorso italiano più longevo, dedicato alla musica live è aperto a tutti e l’iscrizione è totalmente gratuita: per partecipare è sufficiente compilare il form online e presentare due brani inediti ma ne basta solo uno se si è un giovane musicista (Arezzo Wave Music School - grazie alla collaborazione con Skuola.net e Smemoranda) o un musicista straniero di seconda generazione (Arezzo Wave Ius Soli). Le iscrizioni scadono giovedì 15 marzo 2018 (entro e non oltre le ore 24). 
I candidati verranno inseriti in un calendario nazionale costruito in collaborazione con i migliori club regionali che danno spazio alla musica live emergente. Grazie a questa prima esibizione, oltre 400 band potranno suonare dal vivo in una delle 20 date in calendario. I migliori finalisti, decretati da una giuria di addetti ai lavori composta da musicisti come Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, Erriquez della Bandabardò, Petra Magoni, DJ Ralf, manager, giornalisti, operatori musicali italiani e stranieri (lista completa in calce) si aggiudicano una lunga serie di premi:
· partecipazione a festival nazionali e internazionali
· realizzazione di un videoclip e 2 giornate in studio di registrazione in collaborazione con IndiePendente e Mat Top Films
· realizzazione di una compilation in collaborazione con DOC Live
· sconti e opportunità in collaborazione con Tunecore
· un premio in denaro in collaborazione con la Società Italiana Autori ed Editori.

domenica 11 febbraio 2018

Intervista a Elio sul Rolling Stone Elio e le storie tese: «Sulla nostra tomba? “Pirla chi legge”» La band appende gli strumenti al chiodo (per davvero). Con un solo rimpianto: non avere un calco del proprio cazzo.

Da Hukapan, quartier generale degli Elio e le storie tese sito nell’estremo nordest di Milano, si respira un clima strano. Sono arrivato per intervistare la band con un dubbio che è anche quello di tutti, fan o meno: sarà vero che si sciolgono? Il pensiero è legittimo, dopo l’ultimo-non-ultimo concerto di dicembre al Forum di Assago, con tanto di lapide gigante “R.I.P. Elio e le storie tese”, l’annuncio di nuove (“ultime”) date, tra cui ancora il Forum e l’Arena di Verona, Sanremo e un nuovo disco live con due inediti.
Ma l’atmosfera a casa Elii è innegabilmente permeata di una certa tristezza. Claudio Dentes a.k.a. Otar Bolivecic, storico produttore della band, sembra un po’ commosso mentre mi fa sentire in anteprima – per tre volte di fila, perché è un pezzo “complesso, che si rivela man mano”, e in effetti è così – Arrivedorci, la canzone sanremese con cui gli EELST ci hanno ricordato che, in quanto a classe musicale, hanno ancora pochi rivali in questo Paese. Che poi a uno verrebbe da dire: se siete così tristi, perché vi sciogliete? Però si sa, quando una lunga storia finisce, la consapevolezza che insistere non avrebbe senso si mescola alla tristezza di quello che è stato e non sarà più – forse? In fondo è un “arrivedorci”, non un “addio”. Ma questo è solo l’augurio segreto. Mio, e non solo.

Descrivetemi come saranno le giornate da baby-pensionati.
Cesareo: Ho già identificato dei cantieri da guardare, a Milano.
Elio: Lo scioglimento in realtà serve a generare un nuovo impulso creativo più interessante, più al passo coi tempi. Non andiamo in pensione. Faremo altro.
Un amico ha detto: peccato che si sciolgano proprio adesso, la voce di Elio sembra migliore che mai.
Elio: Ma noi siamo migliori che mai. Siamo una band eccezionale, come non c’è mai stata in Italia e non ci sarà più dopo che ce ne saremo andati. Ma per campare siamo ridotti a fare cose non più eccezionali, e non vogliamo essere accolti con sufficienza. Vogliamo un finale degno, che illumini quanto c’è stato prima.
Arrivedorci e Il circo discutibile, i due inediti del nuovo disco, sono canzoni piuttosto struggenti – per i vostri standard, ok. Ma anche in assoluto.
Elio: Ma noi siamo sempre stati una band drammatica, sono anni che lo ripeto, tutti mi prendevano in giro.
Faso: Non ti credevano.
Elio: Non siamo mai stati presi seriamente.
Faso: Per esempio in Supergiovane, quando muore Catoblepa: quello è un momento struggente che nessuno ha mai capito. Tutti a ridere… invece c’è poco da ridere!
Elio: Anche adesso, quando abbiamo detto che ci siamo sciolti, non ci ha preso sul serio nessuno.
Diciamo che l’annuncio delle date aggiuntive ha creato un po’ di confusione. In pochi credono veramente che vi scioglierete.
Elio: Però è così. E se fosse per noi ci saremmo sciolti dopo il concerto del Forum. Poi però è arrivata la chiamata di Baglioni, a cui non si poteva dire di no. È un autorità.
Faso: Abbiamo un telefono rosso che non squilla mai, come quello di Batman. Ma questa volta ha squillato, ed era Baglioni che ci convocava.
Elio: E poi abbiamo la possibilità di salutare tutti anche in altre città, quindi perché no? Siamo in giro da tanti anni, la gente si è affezionata a noi. E viceversa. Abbiamo semplicemente spostato il limite al 30 giugno 2018.
Faso: A grande richiesta, come si diceva una volta.
Elio: Siamo persone educate. Quando uno se ne va, saluta.
Arrivedorci sembra una canzone scritta per durare. Al terzo ascolto mi è quasi sembrata orecchiabile.
Faso: Ha una composizione articolata, come ci è sempre piaciuto fare, ma ha momenti di emozione a cui il nostro pubblico non è abituato. O meglio, è abituato a scovarli dentro canzoni in genere spiritose. Ma ci arriva dopo un po’. Arrivedorci invece è più spostata sull’impatto emotivo, e in più ha un bel suono anni ’70.
Elio: Il senso del testo è che tutte le storie, sia quelle belle sia quelle brutte, hanno una fine. La fine è un aspetto molto importante di una storia. Quando ero piccolo, a scuola, mi accusavano sempre di lasciare le cose a metà. Quindi forse è per questo che ora mi sono un po’ “incistato” sul concetto di fine. Il requisito è che la gente possa fischiettarla la mattina dopo, sotto la doccia. Abbiamo fatto dei test.
Il fischiettamento è verificato dopo il primo ascolto?
Elio: No, dopo il terzo.
Faso: Sono più avvantaggiate le persone pulite, quelle che fanno tante docce. Così hanno modo di fare pratica.
Qualcuno potrebbe dire che con questa canzone avete voluto dimostrare qualcosa. Tipo: “Noi siamo anche questo, ma voi non l’avete mai capito”.
Elio: Ci vedo un retropensiero un po’ estremo (si tira nervosamente le sopracciglia, come un altro si accarezzerebbe la barba, nda). Non stiamo lì a pensare cosa penserà la gente. Semplicemente volevamo divertirci e fare qualcosa che non abbiamo mai fatto. Non avevamo mai scritto una canzone “cantabile”. Né abbiamo mai scritto prima una canzone in cui salutavamo tutti… perché non avrebbe avuto senso!
Parlatemi dei pacchetti Vip previsti per i prossimi concerti: “JI BOCA” e “L’AMORE”. (Risate)
Faso: Sono indirizzati al nostro pubblico più facoltoso. O a chi non è facoltoso, ma mette via i soldi e li investe in postazioni privilegiate per assistere alle nostre performance e frequentare gli Elio e le storie tese da vicino, quasi come farebbero degli amici.
Cesareo: Siccome tutto ha un prezzo, pagando è possibile anche diventare nostri amici.
Elio: È un’idea che ci è venuta quando abbiamo fatto il tour europeo, dove per la prima volta ci hanno proposto di fare questi pacchetti che oggi fanno tutti… in Lussemburgo c’era un solo Vip. Quindi ci siamo detti, perché non fargli vivere un’esperienza superiore? E l’abbiamo portato sul palco con noi per tutto il tempo. Si è divertito tantissimo.
Come vi immaginate il futuro della discografia italiana?
Faso: La discografia italiana è in uno stato di coma già da tempo, anche se non percepito dalla discografia stessa. Succede: tu credi di essere in giro tutto spumeggiante, in realtà sei in coma.
Elio: Come in Matrix.
Faso: Esatto! I discografici sono tutti lì appesi come in Matrix, vivono un’allucinazione collettiva. Poi all’estero è diverso: a Londra c’è il Museo del rock. Lì non è la musica dei drogati coi capelli lunghi. È arte. Negli studi di Abbey Road dei nostri beniamini Bitolsi chiunque può andare e registrare con il microfono di Lennon. Non è feticismo: funziona davvero. Invece gli studi in cui leggendari album italiani sono stati registrati, se non sono stati demoliti, oggi sono diventati altro. Un centro commerciale o altre puttanate del genere.
Elio: Guardati su YouTube un’intervista Rai agli Area del ’77: si lamentavano della condizione delle band all’epoca. Adesso la situazione è addirittura peggiorata. Siamo nel 21° secolo, e l’atteggiamento dell’Italia, della gente, dello Stato nei confronti della musica, anziché progredire, è regredito.
Pensando a future raccolte, avete molti inediti negli archivi?
Elio: No.
Faso: Ma dai, qualcosa c’è!
Elio: Poca.
Faso: Però se sta lì, un motivo c’è. Ci sono spunti interessanti e simpatici, qua e là. Ma sono cose che non abbiamo ritenuto degne di essere pubblicate.
Qual è la canzone più brutta che avete mai fatto?
Elio: (Ride) Ognuno di noi ne ha una in mente, mi sa. Ma io rivendico le canzoni brutte. Ce ne sono molte che abbiamo fatto brutte apposta. Tipo Vincere l’odio.
Cesareo: Di brutto, forse niente. Certo, c’è sempre quel pezzo un po’ tirato via…
Faso: Di veramente brutto no, ma…
Ditemi un titolo!
Faso: Forse Valzer Transgenico.
Cesareo: Sai che lo stavo dicendo io?
Elio: Solo perché non l’avete scritta voi!
C’è qualcosa che rimpiangete di non avere mai fatto?
Elio: Una cosa rimpiango molto, che faceva Frank Zappa ma noi, mai: la groupie che entra in camerino e ti fa il calco del cazzo.
Avete ancora qualche data per rimediare.
Elio: No, ormai basta.
Faso: È difficile.
Elio: Non esistono neanche più le groupie. È una razza estinta.
Cesareo: Pensando alla tua domanda, forse un giorno scriverò un libro per raccontare quanti musicisti siano dei grandi cazzoni. Ce ne sono tanti che hanno una bella faccia pubblica, ma poi sono grandi teste di cazzo. Ma non ti faccio nemmeno mezzo nome.
Faso: Uno di quelli sono io, puoi rivelarlo subito.
Finiamo con una nota lieta: cosa vorreste far scrivere sulla vostra tomba?
(Silenzio imbarazzato)
Cesareo: …“Pirla chi legge”. (Una risata, poi un crescendo di risate generali).
Faso: “Pirla chi legge”. Anche io lo voglio! Facciamolo tutti!
Cesareo: Almeno uno viene lì e si diverte.
Elio: Facciamo la tomba comunitaria degli Elio e le storie tese, e ci scriviamo a caratteri cubitali PIRLA CHI LEGGE.
Faso: C’è la tomba di famiglia, ma la tomba di band non ha precedenti! Ecco, potrebbe essere il nostro prossimo progetto.



mercoledì 7 febbraio 2018

LE COSE Zibba Platonica (CD)

La storia di Zibba è esemplare: "Le cose" è il suo ottavo disco. Una lunga gavetta, culminata con un premio Tenco nel 2012, e la carriera che svolta nel 2014 con una bellissima partecipazione a Sanremo, tra i giovani con "Senza di te", assieme agli Almalibre. Il bello di Zibba, anni dopo, rimane proprio la sua incollocabilità in una categoria precisa: la sua è canzone "da Tenco" e "da sanremo", contemporaneamente. Ha la profondità che si chiede ai cantautori classici, e la piacevolezza del pop. E non a caso, Zibba in questi anni ha firmato brani per Eugenio Finardi, Cristiano De Andrè, Patty Pravo, Michele Bravi, Emma, Zero Assoluto, Max Pezzali, Moreno, Marco Masini, Elodie, Alexia, e ha collaborato Jack Savoretti, Jovanotti, Tiziano Ferro, Alex Britti.





"Le cose" riflette esattamante questo atteggiamento, fuori dal comune in panorama italiano dove o sei "mainstream", o sei "cantautore" o sei "indie". Zibba è tutto questo assieme, e senza spocchia. Basta vedere la lista delle collavorazioni del disco:  Elodie, Erica Mou, Chantal, David Blank, Alex Britti, Marco Masini, Diego Esposito, Mace - mentre nella sua band è entrato Dario Ciffo (Lombroso,  ex Afterhours).
Così i suoni black (a cura di Mace) creano una base avvolgente per "Quando stiamo bene" in cui duetta con Elodie (i due avevano già duettato nel disco della cantante in “Amarsi Basterà”): le due voci sembrano fatte l'una per l'altra. Un taglio simile ha "Dove si ferma il sole", mentre più pop è "Quando abbiamo smesso" (con Erica Mou che mi ricorda Arisa, ed è un gran complimento). Ritmi sincopati anche nel bel duetto con Masini in "Sesto piano". "Un altro modo" ha un piglio corale quasi alla Coldplay
Zibba non ha dimenticato le sue origini: guardate questa bella versione #NoFilter di "Quello che vuoi", che nel disco ha un taglio più complesso, quasi funky.

In "Le cose", Zibba ha preso il suo lato più pop e black, già presente nei lavoro precedenti, e lo ha messo a fuoco con un disco contemporaneamente semplice e stratificato. L'ennesima conferma di un bravissimo musicista, scrittore e interprete. Zibba rimane uno dei nostri preferiti perché fa musica badando alla qualità di quello che scrive e suona, e non alle mode e senza preocupparsi delle etichette.
TRACKLIST

1. Quello Che Si Sente
2. Quando Stiamo Bene feat. Elodie (prod. Mace)
3. Dove Si Ferma Il Sole
4. Quando Abbiamo Smesso feat. Erica Mou
5. Panorama feat. Chantal
6. Quello Che Vuoi
7. Niente feat. David Blank
8. Le Cose Inutili feat. Alex Britti
9. Sesto Piano feat. Marco Masini
10. Un Altro Modo feat. Diego Esposito
11. La Traccia Che Finisce il Disco
12. Un Unico Piccolo Istante
Zibba

Sanremo 2018, la canzone di Meta e Moro a rischio squalifica: il ritornello è simile a un'altra canzone


Al Festival di Sanremo 2018 Ermal Meta e Fabrizio Moro hanno presentato sul palco del Teatro Ariston il brano "Non mi avete fatto niente". Ma la canzone, soprattutto nella parte del ritornello, ha una certa somiglianza con un altro brano, "Silenzio", presentato da Ambra Calvani e Gabriele De Pascali alle selezioni di Sanremo Giovani nel 2016, e poi scartato. Il brano di Ermal Meta e Fabrizio Moro è firmato dai due cantautori assieme ad Andrea Febo, che è l'autore unico di "Silenzio", che nel ritornello dice: "Non mi avete tolto niente, non avete avuto niente, questa è la mia vita che va avanti oltre tutto e oltre la gente. Non mi avete fatto niente". La somiglianza, che è stata notata da Altrospettacolo, riguarda proprio questa frase del ritornello di "Silenzio", ripetuta anche nel brano di Ermal Meta e Fabrizio Moro: "Non mi avete fatto niente, non mi avete tolto niente. Questa è la mia vita che va avanti oltre tutto, oltre la gente. Non mi avete fatto niente"

martedì 6 febbraio 2018

film e album su Nick La Rocca

"Sicily Jass" racconta biografia leader Original Dixieland Band 


In occasione del centenario del jazz esce in Dvd + Cd e Dvd + Lp "Sicily Jass - The world's first man in Jazz", il film diretto Michele Cinque che racconta l'appassionante vicenda biografica del leggendario Nick La Rocca, cornettista, figlio di un emigrante siciliano originario di Salaparuta e leader della Original Dixieland Jass Band, l'ensemble di New Orleans che nel 1917 incise il primo disco Jazz della storia, vendendo oltre un milione e mezzo di copie. Il film, disponibile in formato Dvd, sarà accompagnato da una colonna sonora in formato in Lp o Cd, curata dal ricercatore Mark Berresford, uno dei maggiori esperti e collezionisti di Jazz e Blues delle origini. Una raccolta contenente le storiche incisioni della Original Dixieland Jazz band, insieme ad alcuni brani dell'ensemble eseguiti da grandi maestri come Louis Armstrong, Fletcher Henderson, Joe Venuti, Bix Beiderbeck, Frankie Trumbauer.